Un mese fa ho comprato, da una famosa azienda di vendite online, un coupon per tre massaggi presso un centro benessere, vicino a casa mia.
Qualche giorno fa decido di prenotare il primo massaggio. Telefono al centro benessere e prenoto per il mercoledì successivo ma, prima di chiudere, l’operatore mi chiede il numero di telefono. “Perché me lo chiede?” replico io. La risposta è vaga. Insisto dicendo che il numero di telefono non mi pare necessario allo svolgimento della prestazione. Il signore dall’altra parte del telefono desiste, ma si capisce che non è convinto.
Arriva mercoledì e raggiungo il centro benessere. Alla reception fornisco il mio nome e cognome e mi sento dire “Ah, lei è quello che non mi ha voluto dare il numero di telefono! Adesso me lo deve dare, altrimenti non posso tesserarla”. Armandomi di pazienza, ribadisco la contrarietà a comunicare il mio numero di telefono e, a questo punto, incalzo chiedendo di visionare l’informativa completa. Allora l’addetto all’accoglienza pensa di calare il jolly “Ma questa è un’associazione!”
Peccato che:
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nessuno mi aveva informato che il fornitore fosse un’associazione e che per fruire dei massaggi dovevo associarmi; il vincolo associativo è, per molti versi, più forte del vincolo contrattuale d’acquisto;
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le associazioni, se trattano dati personali, sono titolari a tutti gli effetti e non sono esonerate dagli obblighi di informativa;
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il numero di telefono non rientra tra i dati personali necessari alla prestazione che avevo acquistato; il principio di minimizzazione, quindi, non è stato rispettato anche perché, in mancanza di informativa, non è possibile verificarlo.
Il GDPR (regolamento europeo sulla protezione dei dati) richiede una comunicazione trasparente tra titolare ed interessato ed un massaggio non è un messaggio.