
In genere, i giornalisti tendono a semplificare ed i motori di ricerca tendono a comportarsi in modo neutro (si potrebbe anche dire stupidamente): fa parte del gioco.
Ieri sui media online è stata gridata la notizia secondo la quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dato ragione a Google che si è rifiutata di accogliere la richiesta di alcuni soggetti di deindicizzare link a pagine web che riportavano notizie ormai appartenenti a vicende passate. Si tratta di richieste che invocano il cosiddetto diritto alla cancellazione o diritto all’oblìo che, sul web e sui motori di ricerca, naturalmente, assume una valenza fondamentale per tutelare i dati personali di chiunque.
Ebbene, non è così. La Grande Chambre della Corte di Giustizia ieri ha pubblicato due sentenze:
- una è quella commentata dai media con i titoli che, più o meno, dicevano che Google non ha l’obbligo di deindicizzare;
- l’altra, invece, non pubblicata dai media, ha approfondito princìpi molto importanti che, peraltro, sono presenti anche nella prima.
La prima delle due sentenze, in effetti, riconosce a Google la possibilità di evitare la deindicizzazione su versioni del motore di ricerca diversi da quelli in uso nello Stato in cui risiede chi ha richiesto il diritto all’oblìo. Per essere chiari, se l’interessato è italiano, Google ha l’obbligo di rimuovere tutti i link indicati dal motore di ricerca www.google.it ma non dal motore www.google.uz (Uzbekistan). Questo perché, dice la Corte, la sensibilità al peso che hanno i due diritti in gioco, diritto alla protezione dei dati personali e diritto alla libertà d’informazione, può variare da Paese a Paese.
Tuttavia, rispetto al bilanciamento tra i due diritti, la seconda sentenza offre una trattazione molto più completa della fattispecie. Il motore di ricerca deve sempre effettuare un bilanciamento per decidere se rimuovere o non rimuovere i link, soprattutto quando si tratta di particolari categorie di dati personali (salute, convinzioni religiose, ecc.) o di dati riguardanti condanne penali o reati. E deve farlo considerando tanti aspetti: ruolo della persona nella società, attualità della vicenda, impatto sulla sfera privata, coinvolgimento di altri soggetti e così via.
Infine, la sentenza ritenuta a favore di Google, chiude con il punto 72 che, in sostanza, dice che il diritto dell’UE non obbliga gli Stati a costringere i motori di ricerca a deindicizzare ma neppure lo vieta. Quindi, ciascuna autorità di controllo (per l’Italia il Garante per la Protezione dei Dati Personali) o la stessa autorità giudiziaria hanno la facoltà di emanare provvedimenti che obblighino Google e gli altri motori di ricerca a deindicizzare tutti i link in tutte le loro versioni.
Insomma, alle autorità e ai motori di ricerca viene chiesto uno sforzo di intelligenza: conviene ricordarlo sempre.