
Sembra che il dibattito sulla presenza di sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro non abbia mai fine: è il diritto vivente, bellezza! Guai se non fosse così.
La novità (non troppo nuova) che è emersa in questi giorni è il contenuto della sentenza depositata lo scorso 17 ottobre dalla Grand Chambre della Corte Europea dei Diritti Umani.
Il caso riguardava cinque dipendenti di un punto vendita spagnolo appartenente ad una nota catena di supermercati. I dipendenti erano stati licenziati nel 2009 perché, insieme ad altri nove colleghi, erano stati scoperti a rubare all’interno del luogo di lavoro.
Le prove delle azioni furtive erano state raccolte attraverso un sistema di videosorveglianza composto da videocamere visibili e videocamere nascoste che il direttore del punto vendita aveva fatto installare nel supermercato dopo aver documentato i ripetuti ammanchi.
I dipendenti erano stati informati sono dell’installazione delle videocamere visibili e, quindi, hanno contestato l’uso delle videocamere nascoste che, secondo la loro tesi, violava l’Estatuto de los Trabajadores (il corrispondente spagnolo del nostro Statuto dei Lavoratori, L.300/1970) che prevede l’obbligo di concordare l’attivazione dell’impianto con i rappresentanti sindacali.
I tribunali spagnoli avevano rigettato i ricorsi dei lavoratori motivando le loro decisioni avvalendosi del principio riferito ai “controlli difensivi”, peraltro applicato ampiamente anche dalle corti italiane: il datore di lavoro può installare sistemi di videosorveglianza se esistono fondati sospetti di comportamenti illeciti da parte dei dipendenti. Naturalmente, in casi simili, la preventiva informazione alle rappresentanze sindacali avrebbe potuto inficiare l’efficacia dei controlli.
La Corte Europea dei Diritti Umani ha integralmente riconosciuto gli stessi presupposti e, quindi, ha rigettato il ricorso dei cinque lavoratori.
Il dibattito continua? Forse si, augurandoci che sia alimentato da casi sempre diversi che facciano crescere la cultura della legalità.