Si! Viaggiare…

Chi potrebbe lamentarsi per un invito a sognare viaggi in paradisi terrestri? Escludendo i maniaci della passeggiata nel parco e qualche misantropo cronico, nessuno protesterebbe per avere l’occasione di pensare alle vacanze.

Eppure, la realtà, spesso, ci racconta storie che smentiscono quello che può sembrare ovvio.

Un’agenzia di viaggi nei pressi di un ufficio decide di agevolare la diffusione dei tour che organizza per i suoi clienti abituali e di comunicare loro, nella prima mattinata, le novità sulle offerte tramite email. I turisti potenziali colgono con favore questa iniziativa e forniscono spontaneamente all’agenzia i loro indirizzi email. La mailing list entra in funzione e si arricchisce continuamente di nuovi clienti, desiderosi di sognare mete vicine e lontane.

Tutti soddisfatti, quindi, finché, un giorno, i turisti virtuali si ritrovano nella posta elettronica la locandina di mete proposte da un’altra agenzia di viaggi. Qualcuno si lamenta: lottiamo continuamente per evitare le mail indesiderate. Cosa è successo?

Apparentemente nulla di grave. L’agenzia che ha avviato l’iniziativa spediva le proprie proposte tramite email ai clienti senza nascondere i loro indirizzi: ognuno poteva liberamente conoscere gli indirizzi di tutti gli altri. Qualcuno, tra i turisti sognanti, ha raccolto, dunque, gli indirizzi email e li ha “ceduti” alla seconda agenzia in cerca di affari.

L’episodio, apparentemente banale, rappresenta un caso di trattamento illecito di dati personali.

La prima agenzia, infatti, ha acquisito gli indirizzi email (che sono un dato personale) senza la dovuta informativa circa i destinatari (tutti gli altri clienti) cui poteva trasmetterli e ai quali li ha, effettivamente, trasmessi.

La seconda agenzia ha acquisito illecitamente gli indirizzi email e li ha trattati (mandando il proprio carnet di proposte) senza alcun presupposto di liceità (per esempio, acquisendo il preventivo consenso dei potenziali clienti).

Il fastidio dei clienti poteva essere evitato se la prima agenzia avesse avuto l’accortezza di inserire in “conoscenza nascosta” gli indirizzi dei destinatari piuttosto che trasmetterli “in chiaro”: nessuno avrebbe potuto raccogliere questi dati e, successivamente, usarli in difformità rispetto alla norma.

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Un’emozione perduta

Come siamo stati contenti quando, sotto gli occhi di mamma e papà, abbiamo scritto per la prima volta il nostro nome e cognome: la prima firma. Certo, eravamo un po’ incerti, la scrittura era un po’ storta. Ma eravamo contenti.

Poi, la vita ci ha portato a firmare altre decine di volte: alcune firme sono state importanti, altre dolorose.

Ma sono state tutte necessarie? Forse no.

Se guardiamo un qualsiasi contratto assicurativo, quando la compagnia si comporta in maniera corretta, ci rendiamo conto che apponiamo almeno sei firme di cui una per la vera e propria sottoscrizione del contratto e le altre cinque per esprimere i consensi al trattamento di dati personali

  • a scopi assicurativi;
  • per comunicazioni e iniziative promozionali da parte della compagnia stessa (attenzione!);
  • per comunicazioni e iniziative promozionali da parte di altri soggetti con i quali la compagnia assicurativa stringe accordi (attenzione attenzione!);
  • per ricerche di mercato e indagini statistiche varie (attenzione!);
  • per analisi dei dati relativi ai nostri interessi (attenzione attenzione attenzione!).

Oggi, poi, molte compagnie (ma anche banche, operatori commerciali, ecc.) acquisiscono la nostra stessa firma come dato personale. Si chiama “firma grafometrica” e, quindi, mettiamo una firma per fornire il consenso a trattare la nostra firma.

Insomma, firme dappertutto e non tutte necessarie.

Il Regolamento UE 679/2016 (ma anche la normativa pregressa) ci dice che il consenso deve essere “libero, informato e specifico” e chi ce lo chiede deve esprimersi in modo semplice e comprensibile e, soprattutto, deve indicarci quale dei consensi richiesti è necessario ai fini della conclusione del contratto.

La nostra compagnia assicurativa fa bene ad essere specifica chiedendoci cinque firme (o forse più). Qualche volta, però, dovrebbe essere più chiara sulle finalità dei trattamenti e aggiungere che, se non mettiamo le ultime quattro firme (oppure le mettiamo sotto un NO), non succede nulla.

 

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