Ad un passo dal lecito

Qualche giorno fa i telegiornali si sono occupati di una notizia curiosa: il Comune di Parma ha introdotto, nel proprio regolamento che disciplina la concessione dei passi carrabili, l’obbligatorietà per il richiedente di dichiarare

  • di riconoscersi nei principi costituzionali democratici e di ripudiare il fascismo ed il nazismo;
  • di non professare e non fare propaganda di ideologie nazifasciste, xenofobe, razziste, sessiste o in contrasto con la Costituzione e la normativa nazionale di attuazione della stessa (XXII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana, art.4 L. n.645/1952, L. n.205/1993 e loro eventuali successive modifiche);
  • di non perseguire finalità antidemocratiche, esaltando, minacciando od usando la violenza quale metodo di lotta politica o propagandando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni ed i valori della Resistenza;
  • di non compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista e/o nazista, anche attraverso l’uso di simbologie o gestualità ad essi chiaramente riferiti.

Quindi, se il cittadino non mette le dovute crocette a pagina 5 del modulo non ottiene il passo carrabile.

Nel prendere le dovute distanze da ogni forma di violenza nei confronti di chiunque, non possiamo, tuttavia, esimerci dal notare come questo regolamento comunale violi palesemente il GDPR che, all’art. 5, detta un principio fondamentale: i dati personali devono essere limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati. La domanda, quindi, è: perché si impone di fornire dati personali (peraltro appartenenti alle particolari categorie per le quali l’art. 9 del GDPR, in generale, impone un divieto di trattamento) che non hanno nulla a che fare con la finalità di concedere un passo carrabile?

E non basta dire che le dichiarazioni richieste, a lume di Costituzione, sono ragionevoli: semplicemente, sono inutili per lo scopo specifico che deve raggiungere il Comune nell’esaminare l’istanza del cittadino.

Siamo, dunque, ad un passo (carrabile) dal lecito.

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Il dibattito continua

Sembra che il dibattito sulla presenza di sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro non abbia mai fine: è il diritto vivente, bellezza! Guai se non fosse così.

La novità (non troppo nuova) che è emersa in questi giorni è il contenuto della sentenza depositata lo scorso 17 ottobre dalla Grand Chambre della Corte Europea dei Diritti Umani.

Il caso riguardava cinque dipendenti di un punto vendita spagnolo appartenente ad una nota catena di supermercati. I dipendenti erano stati licenziati nel 2009 perché, insieme ad altri nove colleghi, erano stati scoperti a rubare all’interno del luogo di lavoro.

Le prove delle azioni furtive erano state raccolte attraverso un sistema di videosorveglianza composto da videocamere visibili e videocamere nascoste che il direttore del punto vendita aveva fatto installare nel supermercato dopo aver documentato i ripetuti ammanchi.

I dipendenti erano stati informati sono dell’installazione delle videocamere visibili e, quindi, hanno contestato l’uso delle videocamere nascoste che, secondo la loro tesi, violava l’Estatuto de los Trabajadores (il corrispondente spagnolo del nostro Statuto dei Lavoratori, L.300/1970) che prevede l’obbligo di concordare l’attivazione dell’impianto con i rappresentanti sindacali.

I tribunali spagnoli avevano rigettato i ricorsi dei lavoratori motivando le loro decisioni avvalendosi del principio riferito ai “controlli difensivi”, peraltro applicato ampiamente anche dalle corti italiane: il datore di lavoro può installare sistemi di videosorveglianza se esistono fondati sospetti di comportamenti illeciti da parte dei dipendenti. Naturalmente, in casi simili, la preventiva informazione alle rappresentanze sindacali avrebbe potuto inficiare l’efficacia dei controlli.

La Corte Europea dei Diritti Umani ha integralmente riconosciuto gli stessi presupposti e, quindi, ha rigettato il ricorso dei cinque lavoratori.

Il dibattito continua? Forse si, augurandoci che sia alimentato da casi sempre diversi che facciano crescere la cultura della legalità.

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