Il diritto di rettifica risponde al principio di esattezza previsto dal GDPR e, spesso, può essere la conseguenza di un precedente accesso avvenuto da parte dell’interessato.
Bisogna, quindi, prestare molta attenzione alla copia dei dati che vengono forniti all’interessato in sede di diritto di accesso. Infatti, l’esattezza è un concetto che deve essere coniugato con il periodo temporale cui si riferiscono i dati personali. È ragionevole, quindi, che un dato possa essere esatto oggi ma non lo è se riferito a tre anni fa.
Esempio
Oggi, 11/9/2017, il signor X non ha figli a carico mentre ne aveva due alla data dell’11/9/2015. Il Comune di di residenza del signor X dovrà avere questa doppia visibilità per trattamenti differenti
Trattamento per beneficio economico riferito al 2015 |
Signor X + 2 figli a carico |
Calcolo tariffa rifiuti |
Signor X + 0 figli a carico |
In caso di richiesta di accesso ai dati da parte del signor X l’esattezza dei dati trattati è verificabile solo se il Comune gli fornisce entrambe le “versioni” del dato riferite a due trattamenti differenti.
Il diritto di rettifica, quindi, è esercitabile su tutte le “versioni” del dato trattato purché le finalità siano ancora in corso di conseguimento.
La rettifica, inoltre, può essere richiesta dall’interessato sia per correggere dati non esatti sia per integrare dati incompleti. Il titolare, inoltre, ha l’obbligo di notificare le rettifiche agli altri titolari cui ha, eventualmente, comunicato i dati dell’interessato.
Il Regolamento prevede che il titolare corrisponda senza ingiustificato ritardo alle richieste di rettifica da parte dell’interessato e, comunque, entro un mese; tuttavia, tale termine può essere prorogato di ulteriori due mesi in casi di particolare complessità.
Le violazioni del diritto di rettifica sono tra quelle che prevedono le sanzioni più severe (fino a 20.000.000 di euro).